MATIA MOU

NAUFRAGIO

Trascinarsi randagio

dall’uno all’altro pasto

non abolisce il giorno,

non ferma nei precordi

il bisturi che affonda;

 

e adesso, a notte, intorno

al guanciale che mordi

il letto è così vasto

dall’una all’altra sponda

che certo è il tuo naufragio. 

***

COMMIATO DALLA DISPERAZIONE

 Ora che più non danno

unico senso ai tuoi

pensieri recidivi,

le ferite che dici

mortali guariranno

anche se tu non vuoi.

I succhi che ricevi

non li domandi, né

sei tu che li decidi.

Pozzanghere nei trivi

li recheranno o nevi

perenni in stillicidi

che ignori fino a te.

La vita in tanti modi

rimette in te radici:

tollererà anche il danno

del rancore che rodi

contro di lei, se vivi.

***

MATIA MOU

II.

Dentro il dubbio se sono

io che verso lei muovo

od è lei, la tua isola,

che sull’orlo del nuovo

giorno verso me viene,

Corfù dico, e mi affiso

con lo sguardo a Corfù;

 

provo a uscire dal covo

di memorie ove brancolo

nel presente e non esco

se la nave con lettere

di metallo nel bianco

sfaglio della vernice

 

mi risillaba il nome

che portava tua madre

ed appena il frastuono

nelle lunghe altalene

dalle ondate fa rade

le parole che a fianco

 

nostro figlio mi dice,

alle tue mi abbandono

intrecciate con quelle

che qui furono dette

(“Dove sei, màtia mou?”)

né si placa nel fresco

 

che marezza la pelle

questo rombo di venerdì

se dal cuore alle tempie

restituisce l’afflato

d’un lontano settembre

a cui sono per strade

che conosci riandato.

 

Così mentre l’Angelica

ara ormai la bonaccia

della rada col vomero

della chiglia a rilento

e assopisce i motori

affannati all’unisono

 

con i giri dell’elica,

come l’umido penetra

nelle ossa io presento

quale insidia minaccia

la mia attesa, rinvio

ed affretto l’approdo,

 

nei pensieri diviso;

e affacciato di prua,

quasi a spingermi fuori

da me stesso di frodo,

sulla labile traccia

che avanzando consuma

la distanza ora tua

senza scampo, mi godo

come posso il fruscio

del risucchio, le tenere

zolle d’aria e di spuma

che mi lambono il viso.

 

XX.

Non desisto (se i volti

hanno rughe, ne hanno

anche i luoghi) e testardo

in città, per i prati,

per i boschi sguinzaglio

i miei sensi alla caccia

 

fino all’ultimo giogo

su cui punta lo sguardo:

ritornando dovranno

riferirmi che scorgono

quanto in te sono entrati

volti e luoghi col nome

 

in cui li hai ricreati,

e tu in loro, da come

con la luce il colore

e con l’ombra s’allaccia,

e rendendo più ustoria

quella, questa più scura

 

ne ricava un ingorgo

dove qualche memoria

che non vuole a natura

ritornare del tutto

abbia ancora un asilo

ed in sé si rigeneri,

 

come dura su strati

di calcare il lichene

per scarso umido, in ore

che si venano a un volo

subitaneo, ad un frutto

che dall’albero un filo

 

d’aria rotola al suolo,

e tu odi e ti volti:

ma rifiuto il ragguaglio

(ed ancora mi inganno)

se a ripetermi viene

che si trova nel luogo

di partenza il traguardo.

***

MATIA MOU – REBELLATO, PADOVA 1976